Dopo decenni di vita attenta ad ogni aspetto del mio impatto ambientale e dopo aver pubblicato il libro Plastica Addio, dedicato allo zero waste e alla riduzione della plastica… mi ritrovo profondamente frustrata dalla visione delle trash jar delle varie influencer / instagrammer zero waste (Lauren Singer, Bea Johnson, Kathryn Kellogg, la più scettica su questo argomento). Ho quindi deciso di raccogliere tutta la mia immondizia di dicembre 2019 e vedere quanto sia effettivamente realistico poter ridurre tutta la propria immondizia in un solo vaso di vetro di un intero anno (o addirittura di più).
Ma che cosa è una trash jar?
Nel mondo dello zero waste va di moda la “trash jar”, cioè un vaso di vetro trasparente in cui le persone inseriscono tutta la immondizia prodotta in un determinato periodo di tempo.
L’obiettivo è onorevole: prendere coscienza di quanta immondizia produciamo e cercare di ridurla. Ma ci sono dei problemi a riguardo, sui quali vorrei riflettere.
Tutti i limiti di una trash jar
Primo problema: è veramente tutta l’immondizia prodotta? No. Si tratta della sola indifferenziata. Di quel tipo di rifiuto, cioè, per il quale non è possibile trovare una seconda vita e che finirà in un inceneritore o in discarica.
Ecco qui la mia raccolta dell’indifferenziata di dicembre 2019, che risente anche di tutta la vita sociale che è legata a questo periodo. Quindi, secondo problema: nella trash jar non metto tutta l’immondizia che mi causano le persone che ho intorno con i loro regali? Io l’ho lasciata. E in un vaso di vetro proprio non ci sta.
Nella mia raccolta trovo degli involucri di caramelle, dolciumi e bustine di tè che mi hanno regalato (compresa la merendina in centro alla foto). Una serie di piccoli oggetti non identificati che non riesco a classificare. Un contenitore del 2003 di cumino in polvere che ormai era arrivato a fine vita. Un cotton fioc che conservavo da almeno un decennio e che ho dovuto usare per un lavoro di manutenzione in casa. Un elastico per capelli che volevo recuperare da terra, ma era troppo macchiato. Una tessera ARCI scaduta. Nastri di pacchetti natalizi. Un sacchetto in mater-bi, che nel mio Comune non va per nessuna ragione gettato nel compost. Cartine tornasole per quando autoproduco cosmetici. Il cerotto di un prelievo di sangue.
Analisi della raccolta dell’indifferenziato
Ma vorrei approfondire un po’ alcuni degli oggetti che ho raccolto nell’indifferenziato. E anticipo la conclusione: non contiene nulla che io possa evitare. Ma sarò felice se vorrete smentirmi, con le vostre personali e creative idee a riguardo!
Spero che anche in Italia arrivi al più presto Terra Cycle, un’azienda a livello mondiale, che si occupa del riciclaggio dei rifiuti difficili da riciclare. Se tutte le categorie di rifiuto avessero un loro canale preferenziale di riciclo, quasi tutto potrebbe avere una seconda vita. Ma è essenzialmente dalle aziende che questo dovrebbe essere organizzato, con la restituzione del prodotto una volta esaurito nel posto dove è stato acquistato, come per le testine e i dischetti struccanti di Lamazuna.
Oggetti che si rompono: in Italia non è possibile buttare nei rifiuti riciclabili il vetro che non sia da imballaggio. Così come non è possibile differenziare la ceramica. Tutti gli oggetti che non sono imballaggio usa-e-getta e si rompono devono necessariamente finire nell’indifferenziato, pena gravi ripercussioni sulla catena del riciclo del vetro. Proverò a portare i cocci rotti all’ecocentro, sperando abbiano un canale di riciclo esistente per questo tipo di prodotti.
I tessuti. Quasi solo i vestiti in buone condizioni hanno la possibilità di essere recuperati da organizzazioni non governative che gestiscono i cassonetti dei vestiti usati. Tutti gli altri tessuti laceri di varia natura hanno in Europa solo rarissimi circuiti virtuosi per riciclarli. Eppure sarebbero un bene prezioso per creare, ad esempio, pannelli fonoassorbenti.
Io al momento i tessuti laceri li conservo per fare lavori in casa che macchiano irrimediabilmente (pulire il davanzale, manutenzione della bicicletta, …) e solo in quel momento li butto nell’indifferenziata. La maglia verde-gialla che si vede nella foto, ad esempio, è del 2006: dopo averla utilizzata in montagna per anni mi è servita per altrettanti anni per prendermi cura delle mie scarpe. Il tessuto rosa che ho sigillato in un sacchetto di plastica mi è servito per trattare la muffa.
Tessuti in cotone possono essere riciclati da cooperative sociali come Seriana 2000, che a Bolzano crea dei bellissimi tappeti. I miei vecchi jeans finiscono sempre lì, ad esempio.
L’autoproduzione genera rifiuti: tutti quelli che non vedete se acquistate un prodotto già pronto e finito. Non vi so dire se sia più o meno etico autoprodurre rispetto alla massimizzazione degli scarti, io so solo che quando autoproduco uso pochissimi materiali nuovi e cerco di riutilizzare oggetti che altrimenti non avrebbero una seconda vita.
Questo mese ho creato delle ciabatte da una maglia 100% lana purtroppo infeltrita. Gli altri scarti nella foto sono dei ritagli di vecchie stoffe che ho trasformato in stracci per pulire casa e per l’esperimento carta igienica lavabile. Una volta li conservavo per fare delle imbottiture, ma pesano veramente troppo e ho rinunciato.
Capelli, polvere… persino unghie e altri materiali che il mio Comune non ricicla. Io non posso buttare nella raccolta della frazione organica i gusci delle uova, i gusci dei frutti oleosi, ogni genere di seme duro di frutto (anche quelli delle olive) e scarti animali come le ossa, che però non mangio.
Quello che non si vede mai nelle trash jar sono:
- i capelli, che non si possono né compostare, né gettare nel water (hanno dei tempi lunghissimi di biodegradazione)
- la polvere, che va rigorosamente gettata nell’indifferenziato, perché potrebbe essere ricca di microfibre che inquinerebbero altrimenti le acque, se gettate nel water o rovinerebbero il compost.
I vestiti portati fino all’ultimo giorno della loro vita. In questo caso sono fortunata: potrò portare ad un rivenditore Patagonia i miei pantaloni di lana tecnica di inizio anni 2000, affinché possano riciclarne le fibre. Per molti altri vestiti ormai distrutti la soluzione è solo l’indifferenziato. Ogni tanto realtà come Intimissimi raccolgono intimo anche di altre marche, per spedirli a strutture come I:CO. Darò le mie mutande logore a qualcuno che fa acquisti lì, io non ci metto piede dallo scorso secolo.
Le etichette. Non si vedono quasi mai nelle trash jar. Io invece ne sono sommersa, perché recupero anche i contenitori altrui per tenere laboratori in giro per l’Italia. Qualche etichetta in questo mucchio invece viene da una vecchia raccolta di etichette che mi avevano regalato e che non smaltirò mai, perché ne ho tantissime e per tanti anni continueranno a causare immondizia non riciclabile. Se non avete etichette per casa siete fortunati, perché potete acquistare uno scotch carta differenziabile con la carta o addirittura nel compost (e il porta rotolo ormai vuoto nella raccolta della carta/cartone).
Lo scotch dei pacchi. Se avete la fortuna di abitare in una grande città dove tutto quello di cui avete bisogno è a portata di mano non avrete a che fare con cartoni da smaltire e scotch da buttare nell’indifferenziata (ci avranno a che fare invece i negozi dove andate a fare gli acquisti). Io questo mese ho acquistato miei libri per le presentazioni che avrò in questo nuovo anno 2020, dei cartoni per acquisti per i GAS (Gruppi di Acquisto Solidali), per i quali faccio da referente e un regalo di Natale. Le materie prime di Aroma-Zone che mi servono per autoprodurre cosmetici mi arrivano invece in una scatola in cartone senza scotch. In tutto ho ricevuto 6 scatole di cartone, che ho differenziato nella raccolta di cartone del mio Comune (e che non ho conservato per le foto).
Gli scontrini. Nelle trash jar oltre oceano questo enorme scarto indifferenziato manca, perché possono chiedere che non venga emesso o che venga spedito via mail. Noi italiani no. Vediamo se con lo scontrino elettronico sarà possibile evitare questo spreco. Se comprate online ovviamente gli scontrini non li ricevete.
E i rifiuti riciclabili?
Quello che le trash jar non mostrano: i rifiuti riciclabili. Puoi anche avere una microscopica trash jar di materiali indifferenziati, ma essere circondata da montagne di rifiuti riciclabili. Il punto dello zero waste non è NON generare rifiuti indifferenziati, ma limitare il più possibile la produzione di qualsiasi rifiuto.
Io adesso vi faccio vedere la quantità di rifiuti riciclabili che ho raccolto a dicembre 2019. Tutta l’immondizia causata anche dalla mia vita sociale.
La foto successiva è, invece, l’immondizia che ho creato solo io in questo mese, depurata di tutta quella che amici e parenti mi hanno causato.
Un rotolo di carta igienica a settimana. Contenitori di datteri che ancora per quest’anno ho comprato col GAS (uno, a grande sorpresa, in plastica). Buste di tè in foglia, che sto cercando di capire dove comprare sfuso di alta qualità. Contenitori di integratori alimentari dell’Aboca, che ho contattato per protestare contro l’overpackaging (se volete scrivere loro anche voi ne sarò contenta). Carta accumulata negli anni, che uso per prendere appunti dal lato non stampato. Una bottiglia di vetro di aceto che ho acquistato nel periodo in cui la mia madre dell’aceto non funzionava più. L’involucro dei savoiardi che ho usato per fare il tiramisù. Un vaso di vetro al quale non riesco a staccare l’etichetta (fastidio!).
Analisi della raccolta del differenziabile
Anche per i rifiuti differenziabili vorrei approfondire alcuni elementi, perché prima di finire nella raccolta differenziata potrebbero avere una seconda vita.
Le bottiglie di birra che mi hanno portato gli ospiti di una cena proverò a restituirle ad un negozio di bevande, che ritira alcuni tipi di bottiglie per riutilizzarle (ma non ricordo mai quali, spero siano queste).
La carta leggera che utilizzo per vari scopi, come assorbire l’acqua dagli scarponi oppure accendere il fuoco nei bivacchi. La carta da giornale la uso anche quando faccio i saponi, ma siccome la rende irriciclabile, devo trovare un nuovo sistema.
Le buste le tengo sempre, per riutilizzarle come buste e quel cartone potrebbe essere utile per imbottirne una quando devo spedire oggetti che altrimenti si potrebbero rovinare (al posto del pluriball).
Tutti questi imballaggi andranno a Yuuy, che li recupera per trasformarli in bellissimi quaderni.
I bastoncini del ristorante cinese li darò ad un amico che ha un orto, per metterci su i nomi delle piante, oppure li faccio bruciare dalla stufa a legna dei miei (no, non sono compostabili, anche se 100% di bambù). I medicinali scaduti li porto in farmacia. Le batterie ricaricabili, imprescindibili per il mio lavoro da videomaker, le ho già buttate nei raccoglitori appositi, dopo 5 anni di servizio. I flaconi dei liquidi per le lenti a contatto non hanno alcuna soluzione zero waste: all’igiene non si comanda. Li trasformerò probabilmente in stampi per candele riutilizzabili. Il contenitore del mascarpone che ho comprato per fare un tiramisù lo tengo per i miei laboratori di saponificazione, idem il vasetto di vetro, idem il vasetto di yogurt che non ho saputo rifiutare in sauna quando me l’hanno offerto. I tappi li porto alla raccolta tappi. Alcuni sacchettini di plastica li tengo per raccogliere l’immondizia altrui in giro per i boschi.
E il compost?
Nella trash jar, per ovvie ragioni di igiene, non c’è il compost, cioè la frazione umida dei nostri rifiuti. Eppure è una bella fetta dei nostri scarti. In questo mese ho svuotato almeno 5 bidoncini di umido. E nulla di quello che era contenuto era cibo andato a male. Erano tutti scarti di vegetali, che diventeranno prima biogas e poi compost.
Confronto con un’amica
Per meglio comprendere il mio livello di riduzione di rifiuti ho chiesto ad una mia amica (non particolarmente sensibile alle tematiche ambientali) di conservare tutta la sua immondizia del mese di dicembre 2019. Anche lei vive da sola. Ecco i risultati.
Questi sono i suoi rifiuti indifferenziati, scatola compresa. Nei sacchetti ho trovato tanto Tetrapak (i cartoni poliaccoppiati del latte, per intenderci), che in realtà sarebbe più o meno riciclabile, ma nel nostro Comune va portato nell’Ecocentro e non in un normale cassonetto. Ad occhio è il doppio o il triplo del mio.
E questi sono invece i suoi rifiuti riciclabili. Non avendoli messi in ordine come i miei è un po’ difficile, forse, fare un confronto. Si nota nei sacchetti in mater-bi (quelli bianchi in bioplastica) una quantità enormemente maggiore di plastica e in alto a destra un numero decisamente più grande di vetro e latta. Sulla carta invece io vorrei migliorare. La sua è tanta, ma non più del doppio rispetto alla mia.
Conclusioni
Alla luce di questo mese di raccolta ho dedotto che lo zero waste dal punto di vista del consumatore finale è molto difficile da perseguire, soprattutto se hai un’intensa vita sociale. È anche un modo di pulirti la coscienza, perché non consideri tutto il flusso di rifiuti che è stato creato per fare sì che tu adesso abbia quel tal prodotto tra le mani. Anche questo la trash jar non lo mostra.
L’autoproduzione ti rende più consapevole di quanta immondizia puoi produrre nel creare cose da te, ma non è compatibile con un vasetto di trash jar all’anno.
Lo zero waste è cosa buona e giusta se tutti all’interno del ciclo produzione-distribuzione-acquisto fanno la loro parte. Proviamo a fare la nostra, ma senza impazzire.
8 commenti
Angelo Toscano · 2 Gennaio 2020 alle 10:05
Cara Elisa
Sei brava e di grande stimolo al cambiamento.
Auguriamoci che, a partire da me e dalla mia famiglia, molte persone riescano a fare anche solo il 30% di quello che con impegno e fatica fai tu. Insisti, non demordere mai.
Buon 2020
Elisa Nicoli · 2 Gennaio 2020 alle 10:39
Grazie mille dell’incoraggiamento! A volte mi sembra di non fare abbastanza… 🙂
Maria Rabuazzo · 2 Gennaio 2020 alle 13:02
Io ti ringrazio perché mi hai aperto gli occhi e cerco ogni giorno di migliore.Ho il tuo libro per l’ autoproduzione e presto avrò l’ ultimo.
Elisa Nicoli · 3 Gennaio 2020 alle 9:23
Grazie, sono molto contenta! Buon impegno e buone letture!
Cristina Bollini · 2 Gennaio 2020 alle 20:00
Ciao Elisa,
Grazie per questo post davvero schietto e concreto.
Voglio provare a fare un trash jar a casa mia e credimi, con due bambini sarà davvero una sfida. Prendo in pieno il suggerimento “senza impazzire” nel senso che vorrei portarmi avanti confidando che il resto del mondo arriverà a sistemare i gap del ciclo.
Nb: per togliere la colla dai barattoli di vetro, uso il bicarbonato e un asciugamanino di cotone e tanta energia di braccia.
Ciao 👋
Cristina
Elisa Nicoli · 3 Gennaio 2020 alle 9:25
Grazie mille! Sì, è ancora più una sfida se non vivi da solo/a! Grazie mille anche per il suggerimento per l’etichetta… ti assicuro che mi ci accanisco con mille e più metodi (anche se il tuo voglio provarlo!), ma a volte perdo la pazienza 😉
elena · 7 Marzo 2020 alle 6:31
Cara Elisa,
mi sono resa conto recentemente di essere una grande inquinatrice e me ne vergogno moltissimo. Mi sono impegnata al lavoro e in famiglia nel fare “bene” la raccolta differenziata perchè la frase “eh va beh, per uno cosa vuoi che succeda?” non la voglio proprio più sentire. Ma leggendo il tuo articolo mi sono resa conto di quanto sia stato superficiale il mio approccio e quanto debba ancora lavorare per arrivare all’obbiettivo di ridurre realmente i rifiuti. Ho iniziato nel modo più bello possibile… ridurre le entrate di tutto quello che domani inevitabilmente diventerà rifiuto… con un notevole risparmio economico e una sensazione di leggerezza….
ma devo lavorare ancora moltissimo. Ti ringrazio molto per l’opportunità di imparare sempre nuove cose.
Elisa Nicoli · 15 Marzo 2020 alle 12:02
Grazie mille per il commento, apprezzo tanto! Sì, fare bene la differenziata ormai non basta più… buon lavoro 🙂